Karma e sangue freddo: si rinasce nel Buddhismo?

please-recycleIl concetto di rinascita potrebbe, non c’è certezza in un senso o l’altro,  essere stato ereditato dal buddhismo. Non sappiamo se è accettato dal Buddha perché lui non ha scritto nulla. Quindi noi possiamo tentare di “estrarre” la sua dottrina dalla ricorrenza e la coerenza nei testi. E per esempio nel Canone Pali non c’è una stingente coerenza su karma e rinascita. Mentre c’è una certa coerenza tra karma e conseguenze presenti.

Detto questo, gli indiani del periodo vedico e post-vedico erano terrorizzati come noi dalla morte, e non sapevano dove andassero dopo. Il loro primo sistema binario di regno celeste ha influenzato tutto il resto. Nel senso che una volta andati nell’al di là (uno per tutti: buoni e cattivi) si chiesero da dove venissero le nuove nascite. Allora pensarono che si potesse morire nell’al di là e tornare nell’al di qua. E così all’infinito.

Da queste fasi iniziali poi col tempo si è sviluppata tutta la cosmogonia indiana che conosciamo.

Quindi la paura degli indiani era il continuo morire. Dal momento che continuavano a morire da una parte e  dall’altra… Il dolore del trapasso e dell’abbandono dei propri cari era visto come una infinita condanna.

Da qui il concetto di nirvana come estinzione: finalmente si smetteva di morire.

Ma come avveniva la rinascita? Questa è la parte bella. Nella rinascita non è la persona morta che una volta maturati i frutti del karma rinasce. No, quella è la reincarnazione. Nella rinascita al momento della morte c’è un deposito della coscienza che possiamo decifrare come “impulso vitale”, un semplice impulso di vita, non tutta la coscienza di Tizio o Caio né la loro mente. Un impulso volitivo o vitale che accende una nuova vita dopo, che nulla c’entra con quella precedente, se non il bagaglio karmico.

L’esempio del Robinson, libro è molto chiaro, la rinascita si spiega facilmente così: io e te abbiamo una candela in mano. la mia è accesa, la tua è spenta. Io con la mia accendo la tua.
1. Possiamo dire che entrambe sono accese, cioè vivono? Sì.
2. Possiamo dire che la mia ha dato vita alla tua? Sì.
3.Ma possiamo dire che sono lo stesso Fuoco? Sì e no. Sì perché sono lo stesso elemento, il fuoco. No perché il fuoco sulla tua candela non è quello sulla mia candela.

La cosa importante, è che la dottrina del Buddha resta in piedi con o senza rinascita.
Importante è rispettare chi ci crede e chi non. Necessario è sperimentare in prima persona e affidarsi a quello che scopriamo (magari parlandone con un buon maestro)

8 pensieri su “Karma e sangue freddo: si rinasce nel Buddhismo?

  1. Giuliano ha detto:

    “Non sappiamo se è accettato dal Buddha perché lui non ha scritto nulla.”
    Questo vale per qualsiasi parola del Canone Pali (o dei suoi paralleli), inclusi gli insegnamenti sulle quattro verita’, sui fondamenti della consapevolezza, coproduzione dipendente, etc., ma difficilmente si legge “non sappiamo se il Buddha accettasse gli insegnamenti sulla non-violenza o sulla liberazione, perche’ lui non ha scritto nulla”.
    Appare quanto meno arbitrario applicare questa cautela soltanto agli insegnamenti sulla rinascita.

    “E per esempio nel Canone Pali non c’è una stingente coerenza su karma e rinascita.”
    Al contrario, il Canone Pali ne e’ pieno, mentre la retribuzione kammica nel corso della stessa esistenza e’ un evento meno ricorrente. Tanto per fare un esempio, ci sono innumerevoli riferimenti alla rinascita in un reame infernale a causa di cattiva condotta e/o visione errata, o nel mondo dei deva in virtu’ di una buona disciplina morale, o di entrata nella corrente (ovvero in un limitato numero di rinascite), etc.

    “La cosa importante, è che la dottrina del Buddha resta in piedi con o senza rinascita.”
    Piuttosto discutibile: per definizione, la meta, il nibbaana, e’ la fine delle rinascite.

    • buddhismoquotidiano ha detto:

      Su coerenza karma e rinascita, dovresti trovare una soluzione all’anatta dal punto di vista contemporaneo rispetto il karma come rinascita. E anche i diversi sutta che spingono all’esperienza diretta e fenomenlogica, cioè che è difficile relazionarsi a qualcosa di non sperimentato. Come nel Kalama sutta Buddha dice loro (ai Kalama) che non possono parlare di Brahma perché non hanno fatto esperienza, così non conosciamo nessuno che abbia portato prove sulla rinascita.

      Il fatto che il BuddhaDhamma resti in piedi senza rinascita… basta prendere i diversi sutta dove nibbana è legato a dukkha, la sua risoluzione. Quindi è anche slegato alla rinascita.

  2. Giuliano ha detto:

    Innanzitutto grazie per la replica.

    “Su coerenza karma e rinascita, dovresti trovare una soluzione all’anatta dal punto di vista contemporaneo rispetto il karma come rinascita.”
    Per essere necessaria una soluzione dovrebbe esserci un problema: quale sarebbe il problema dell’anattā “dal punto di vista contemporaneo? [e quale sarebbe “il punto di vista contemporaneo”?]

    “i diversi sutta che spingono all’esperienza diretta”
    In questa esperienza diretta viene incluso il ricordo di innumerevoli vite precedenti, come nell’Udāyisutta dell’Aṅguttara Nikāya (A CST4 VI.29, PTS 322-325) dove viene elencato come primo dei sei oggetti da portare alla mente (anussati-ṭhāna). Altrove, come nel Kandarakasutta del Majjhima Nikāya (M 51, CST4 II.14, PTS I.347), un’esperienza di ricordi estremamente dettagliata di innumerevoli vite precedenti segue il raggiungimento del quarto stadio concentrativo (jhāna). Di esempi simili i Sutta ne offrono a migliaia, e questo pare indicare con una certa nitidezza che l’idea di rinascita non collide affatto con l’incoraggiamento all’esperienza diretta.

    “Come nel Kalama sutta Buddha dice loro (ai Kalama) che non possono parlare di Brahma perché non hanno fatto esperienza”
    Temo qui ci sia una svista: nel Kesaputtisutta (o Kālāmasutta, A CST4 III.66, PTS ) il Buddha non dice affatto questo, e il nome di Brahma viene citato una sola volta all’inizio, nella descrizione standard della buona reputazione del Buddha.
    Vero comunque che nello stesso Sutta il Buddha supera lo scetticismo dei Kālāma dicendo loro che se anche non ci fosse rinascita dopo la morte, sperimenterebbero comunque i frutti della pratica in questa vita. Da qui a negare che nella letteratura buddhista canonica, in lingua pali o no, il Buddha abbia espressamente e ripetutamente insegnato le rinascite, ci passa un oceano.

    “non conosciamo nessuno che abbia portato prove sulla rinascita”
    Il post non discute se esista o no la rinascita (e qui si aprirebbe un altro discorso), ma si dubita della sua rilevanza nel buddhismo, che mi pare invece ampiamente dimostrata dai testi. In altre parole: è assolutamente legittimo non credere nella rinascita, un po’ meno negarne la presenza o l’importanza nel buddhismo.

    “Il fatto che il BuddhaDhamma resti in piedi senza rinascita… basta prendere i diversi sutta dove nibbana è legato a dukkha, la sua risoluzione. Quindi è anche slegato alla rinascita.”
    Al contrario: proprio perché il nibbāna è la soluzione a dukkha rappresenta anche la fine delle rinascite. La definizione ricorrente di dukkha, che si trova anche nel primo discorso del Buddha, inizia proprio con “la nascita è dukkha” (Dhammacakkappavattanasutta, S CST4 V.1081, PTS V.421).
    La liberazione è uniformemente descritta con la presa di coscienza “la nascita è distrutta, la pratica spirituale è stata perfettamente vissuta, quel che doveva essere compiuto è stato compiuto, non ci sarà piú ritorno ad alcun stato di esistenza”.

    Nei testi buddhisti il Buddha colloca la questione di dukkha e della sua risoluzione in un contesto ampio, quello del ciclo delle rinascite e della loro fine, ovvero nella prospettiva estremamente significativa del condizionato e dell’incondizionato.

    Con mettā

  3. buddhismoquotidiano ha detto:

    Grazie a te per contribuire al dibattito.

    Io credo che dobbiamo fare i conti con la contemporaneità, molti che praticano il dhamma (me compreso) seguono il percorso etico e meditativo. E io credo che questo sia il cuore dell’insegnamento. Molti occidentali praticanti (sempre me compreso) non crede nella rinascita, e dunque ti domando: il non credere alla rinascità preclude la possibilità di seguire il percorso?

    Prendiamo il nobile ottuplice sentiero, è possibile metterlo in atto senza credere nella rinascita?
    Io credo proprio di sì.

    E a me sembra che quella fievole voce che sta lentamente e con fatica acquisendo un corpo, cioè il buddhismo occidentale indigeno, probabilmente rinuncerà ad alcuni elementi della tradizione di partenza, specialmente tutto ciò che non può essere dimostrato e soggetto a verifica. Perché questa è la nostra attitudine esperienziale (non molto differente dal Buddha stesso). Il Buddhismo ha sempre cambiato aspetto e si è sempre modificato con la nuova civiltà ospiti, non penso che differirà da noi.

    Prendo solo il Cûlamalunkyovâda Sutta come riferimento del dato esperienziale fenomelogico su quello metafisico. Per la mia interpretazione di questo sutta, la rinascita è relagata oltre la possibilità di farne esperienza. Quindi seguendone l’insegnamento, non posso utilizzare nel mio percorso qualcosa di cui non posso fare e averne testimonianza.

    Con abbondante metta e stima

  4. Giuliano ha detto:

    “il non credere alla rinascità preclude la possibilità di seguire il percorso?”
    No, non credo che la precluda, ma ritengo che possa ridurne le potenzialità: un orizzonte meditativo che prenda in considerazione il nascere, il morire, il rinascere, e soprattutto ciò che vi è oltre, è a mio avviso capace di una maggiore profondità rispetto a una prospettiva scettica a riguardo.

    “il buddhismo occidentale indigeno, probabilmente rinuncerà ad alcuni elementi della tradizione di partenza, specialmente tutto ciò che non può essere dimostrato e soggetto a verifica”
    Se lo facesse perderebbe un tesoro inestimabile: anche l’acqua piú pura non resta tale se trasportata in una bottiglia sporca.
    Inoltre, la meditazione stessa (in senso lato) è strumento di verifica, per cui in attesa che questa conferisca la chiarezza necessaria, non sarebbe male evitare di escludere a priori la questione della rinascita.

    Non credo che sia una questione di fede cieca e non verificata, ma di fiducia nella coerenza filosofica ed esperienziale degli insegnamenti del Buddha, rispetto ai quali mi pare arbitrario conferire patenti di validità usando parametri individuali o culturali.
    Nel caso questa fiducia incontri ostacoli, si può semplicemente constatare che c’è questa difficoltà soggettiva, senza attribuire al Buddha il nostro stesso scetticismo. Se vogliamo stare a quanto ci trasmettono i testi, come di solito si fa con altri insegnamenti del Buddha, dovremmo prendere atto che il Buddha sottolinea la visione della rinascita con molta forza, usa la contemplazione delle vite precedenti come pratica (ovviamente avanzata), e spiega la legge del kamma e la concatenazione del paṭiccasamuppāda nella cornice delle rinascite.
    Perfino quello che viene considerato l’insegnamento empirico per antonomasia, ovvero le quattro applicazioni della consapevolezza (satipaṭṭhāna), si conclude con i suoi due possibili esiti positivi: il nibbāna in questa condizione di esistenza o il raggiungimento dello stato di non-ritorno. Temo che vedere questo aspetto come una semplice sovrastruttura socio-culturale faccia perdere di vista la funzione soteriologica che svolge.

    Il Cūḷamāluṅkyovādasutta è un bellissimo testo che fonde pratica e filosofia conducendole oltre lo scenario logico limitato del catuskoṭi, e mi fa molto piacere che tu lo prenda come oggetto di studio e ispirazione. Tuttavia, questo insegnamento non solo non riguarda la rinascita, ma addirittura ne conferma per inferenza l’importanza: nella lista degli avyākata (le questioni non risposte, non spiegate dal Buddha) non vi è infatti la rinascita. Il Buddha afferma infatti che le questioni su cui Māluṅkyaputta si arrovella non richiedono (e non ottengono) risposta perché non conducono alla liberazione, mentre il Buddha ha spiegato quello che riteneva idoneo a ottenere la liberazione. Mi sembra quindi difficile da confutare che, dal momento che la visione dell’esistenza intessuta nel ciclo di rinascite è stata innumerevoli volte insegnata dal Buddha, questa rappresenti un perno dei suoi insegnamenti per il nibbāna, e non un orpello superfluo (altrimenti, proprio secondo la logica del Cūḷamāluṅkyovādasutta, non l’avrebbe insegnata).

    Con mettā e gratitudine per l’ospitalità sul blog

  5. buddhismoquotidiano ha detto:

    Sempre ospite qui e sempre ben accetto.

    Possiamo andare di logica, nel senso di buon senso?

    Quindi tu ritieni che la rinascita è parte integrante e indivisibile dall’insegnamento del Buddha storico. Questo perché è intrisecamente presente e ben esplicitato nel Canone Pali.

    Quindi credi anche alle numerose divinità presenti nel Canone, perché la rinascita fa parte di “ciò che è oltre l’essere umano” e riguarda l’aspetto religioso.

    A queste due categorie appartengono le seguenti divinità: Indra, Āpo, Vayo, Tejo, Surya, Pajapati, Soma, Yasa, Venhu, Mahadeva, Vijja, Usha, Paṭhavi, Sī, Kuvera, gli yakkha, i gandhabba, i nāga, Garuḷa.

    E i seguenti regni, sempre presenti nel Canone: regno dei Deva, regno degli Asura, umano ovviamente, animale, regno dei Preta o spiriti affamati, e il Narake più o meno l’inferno e il purgatorio.

    Non ci sono vie di mezzo, il pacchetto o lo prendi tutto oppure accetti l’idea che si possa tentare una lettura logica, esperienziale, razionale e funzionale del canone.

    La rinascità è l’al di là del buddhismo (e altre religioni locali) e rientra negli aspetti metafisici del Dhamma, come le divinità, i demoni e i regni ultraterreni che ti ho citato.
    E’ un pacchetto all-inclusive, non possiamo estrarre solo alcuni elementi. Anche perché il Buddha con queste divinità e questi demoni ci parla, dialogano insieme. Quindi è accaduto. Perché della rinascita il Buddha ne parla, non hai altre prove nei testi se non quella del Buddha del Canone Pali. Non vorrai mettere in dubbio la Sua parola su queste questioni, mentre sulla rinascita la accetti?

  6. Giuliano ha detto:

    Non ho motivo per escludere a priori che il Buddha comunicasse effettivamente con le dimensioni dei devatā, yakkha, etc.
    Tuttavia, che io ne dubiti, ci creda ciecamente, o ne faccia esperienza diretta non ha molta rilevanza in questa discussione: stiamo parlando, mi sembra, dei testi buddhisti pali, delle loro possibili interpretazioni, e della funzionalità dei vari fattori all’interno del sentiero per la liberazione descritto nei testi stessi.

    Gli insegnamenti buddhisti in genere contengono aspetti relativamente facili da sperimentare (una certa pacificazione della mente con l’ānāpānasati, una migliore disposizione d’animo in virtú della mettā etc.) e altri meno (il raggiungimento delle vimokkha, delle abhiññā, di poteri che forse definiremmo miracolosi, etc.): trovo arbitrario attribuire al Buddha solo quelli che sono stati provati dalla scienza ufficiale del XXI secolo e non invece tutti (o nessuno), oppure giudicarne l’importanza secondo il mio personale grado di dimostrazione, inclinazioni personali, etc.
    Anche la completa estinzione della sofferenza e delle sue cause radicali, ovvero l’ignoranza, l’attaccamento e l’avversione, è qualcosa che la ‘scienza-ufficiale’ non ha ancora dimostrato, eppure si tratta di una definizione decisamente ‘esperienziale’ della meta del sentiero, secondo la tradizione buddhista pali e non solo.

    Da un punto di vista pratico credo che si possa benissimo praticare per obiettivi diversi dalla liberazione, ovvero per un benessere relativo, per il rilassamento meditativo di un ritiro, per una maggiore freschezza nelle relazioni interpersonali, ma in tal modo si mettono da parte alcuni fattori chiave della pratica stessa, come ad esempio lo slancio verso il risveglio.
    Tornando al punto di partenza: ripeto, non credo che ci siano problemi in sé nell’essere scettici verso qualsivoglia aspetto del sentiero, se si considera questo scetticismo una visione personale, magari dettata da contingenze temporanee, e non lo si sovrappone ai contenuti testuali che, come confermi con quest’ultima replica, non necessariamente coincidono con quello che ci piacerebbe il buddhismo fosse.

  7. buddhismoquotidiano ha detto:

    Forse qui il punto di scarto tra la mia visione e la tua.

    Per me il risveglio o liberazione è solo la fine della sofferenza esistenziale in questa vita. Per te e nei testi no.

    Però io credo che la tua valutazione del sentiero privo di rinascita e abhiññā (cui io non credo) sia ingenerosa. Senza questi elementi non ci troviamo di fronte “solo” a “benessere relativo, per il rilassamento meditativo di un ritiro, per una maggiore freschezza nelle relazioni interpersonali”.

    La liberazione è NEL mondo e non DAL mondo, nel senso che per me i suoi frutti si consumano qui, da questa parte di esistenza, e possono beneficiarne tutti.

    Come dici tu, stiamo parlando di possibili interpretazioni.
    Con un piccola ma: io posso dimostrati un piccolo fatto, cioè che la meditazione calmi la mente. O che il sentiero etico dell’ottuplice sentiero migliori le relazioni interpersonali e intrapersonali. Quindi io, non la scienzadel XXI secono, dimostro a me stesso e sperimento questo cose e posso provarle ad altre persone.
    Tu ora dovresti dimostrarmi la tua rinascita. Cioè la tua esperienza dovrebbe essere riproducibile (ad eccezione di particolari patologie o disfunzioni) da me.
    Sei in grado di dimostrare la rinascita e di renderla un’esperienza riproducibile?

    Detto ciò, la mia è un opionine, che ritengo sensata, e che per me non è oggetto di divisione con chi la pensa differentemente.

    vorrei solo ricordare che ha molta rilevanza con la discussione deva, yakkha e regni celesti, perché la rinascita fa parte della “ricompensa” così come i regni celesti dove ci sono questi demoni e dei. Si rinasce in uno di quei sei regni, lo dice il Buddha nel Canone. Non puoi prendere solo una parte della metafisica. Per il Buddha si rinasce in uno di quei sei regni. Non è separata la questione. Ripeto che quindi o accetti tutta la metafisica dalla rinascita e oltre, oppure la tua posizione interpretativa e discutibile e attaccabile quanto per te la mia.

    Sei più vicino a me che ai testi originari.

    E devi sempre dimostrare la rinascita e renderla riproducibile. Altrimenti è vero Manitu, Odino, Cherubini, Troni e Serafini. O è plausibile tutto l’indimostrabile o non lo è.

    Rinnovo la metta di cui sopra e anche la stima.

Scrivi una risposta a Giuliano Cancella risposta